I sospetti degli ispettori: ora scattino i controlli nelle aree non sequestrate
«Accesso alle aree non sequestrate», totale «rispetto delle prescrizioni Aia», «individuazione dei responsabili». I custodi giudiziari dell’Ilva vogliono vederci chiaro. Per Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento i dubbi aumentano. Tante le richieste giunte sulla scrivania del procuratore Franco Sebastio durante il vertice a cui ha preso parte anche Bruno Ferrante, presidente dello stabilimento siderurgico. Lo staff guidato dall’ingegnere Valenzano ha chiarito che per realizzare quanto disposto dal gip Patrizia Todisco e dal tribunale del Riesame non sarà sufficiente analizzare i reparti dell’area a caldo, ma occorrerà valutare anche le criticità delle altre aree. Hanno così rappresentato al procuratore la necessità «di poter accedere anche ad aree dello stabilimento non interessate da provvedimento di sequestro le cui attività risultano comunque correlate alla gestione operativa degli impianti sequestrati. Infatti, strutture organizzative aziendali - scrivono ancora nella relazione gli ispettori - quali il servizio Ecologia, il servizio di Prevenzione e protezione, il servizio Qualità, pur intervenendo direttamente sulla gestione operativa degli impianti sequestrati sono di fatto strutture trasversali a tutti i rami dello stabilimento, sia per quel che attiene l’attuazione delle necessarie misure preventive ai fini del monitoraggio delle emissioni ambientali, sia del controllo dei parametri di affidabilità delle componenti di impianto nel corso delle attività di messa in sicurezza».
Non solo. Gli ingegneri hanno spiegato che «le attività saranno condotte operativamente dai responsabili di ciascun reparto produttivo o loro delegato sulla base di un cronoprogramma dettagliato su proposta del custode gestore». Una serie di attività che tuttavia rende necessaria la definizione di «ruoli, responsabilità e mansioni inerenti le posizioni chiave per la sicurezza e relative modalità di coordinamento e comunicazione». Ma oltre a questi soggetti, la Procura dovrà individuare «la figura responsabile dell’attuazione delle prescrizioni e procedure impiantistiche» e quella del «responsabile dell’ottemperanza alle prescrizioni Aia in relazione all’attuazione delle migliori tecnologie disponibili ed all’effettuazione dei controlli ambientali (monitoraggio in continuo di emissioni in atmosfera e controlli puntuali delle diverse matrici ambientali) di cui al piano di monitoraggio e controllo che non risultano attribuite a nessuna figura dell’organizzazione aziendale».
Nella relazione i custodi hanno ribadito ancora una volta che l’annoso problema dei parchi minerali non può essere risolto attraverso l’installazione del barrieramento. Per i tecnici infatti i lavori per «il barrieramento che l’azienda intende completare entro la fine dell’anno» non solo sono «subordinati» ad alcuni lavori che il Comune di Taranto non ha ancora appaltato, ma sono solo un proseguimento di una prescrizione che prevede la copertura dei parchi. Un’operazione dai costi elevati che, insieme alle altre attività per l’ambientalizzazione comporterà un bisogno di manodopera. «Si precisa inoltre - si legge infatti nel documento dei tecnici - che sarà necessario definire un piano di gestione del personale, se non altro in relazione ai numerosi interventi necessari per l’ambientalizzazione degli impianti critici» che comporterà «ove la società riterrà di procedere, un indotto, in termini di personale specializzato da coinvolgere, di diverse migliaia di operatori». Lo spettro del ricatto occupazionale, quindi, sembra sgretolarsi: ambientalizzare l’Ilva significherebbe creare posti di lavoro, secondo quanto scrivono i custodi. La scelta tra ambientalizzazione (con nuovi posti di lavoro) o chiusura delle attività, alla fine, spetterà alla famiglia Riva
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